Negli ultimi mesi ne hanno parlato grandi testate come il “The Washington Post”, “Surfer Magazine” e in Italia ne ha parlato l’”Internazionale”; la notizia insomma ha destato interesse un po’ in tutto il mondo.
Chad Nelsen, surfer ambientalista, chiese, nel 2002, ad un economista della Duke University di aiutarlo nel fissare il valore economico di una famosa località surfistica di Puerto Rico, Rincòn.
Da quel momento possiamo dire che è nata una nuova branca dell’economia, la surfonomics, che ha l’obiettivo di mettere a paragone il mercato del surf in un determinato luogo con un qualsiasi altro mercato sviluppato in quello stesso luogo, ma più invasivo di quello del surf, come per esempio il mercato dell’edilizia turistica.
Lo scopo, dunque, di questo studio è quello di convincere il mondo che in alcuni luoghi può essere più produttivo lo sviluppo di un’economia basata sul surf piuttosto che su modelli di sviluppo meno rispettosi dell’ambiente, che senza dubbio producono più denaro, ma impoveriscono il paesaggio naturale e cambiano irreparabilmente gli ecosistemi marini e terrestri.
I surfisti hanno sempre rifiutato l’idea di dare un prezzo alle onde ma Nelsen ha creato una rottura con questa retorica ambientalista scegliendo di combattere l’economia con le sue stesse armi.
A Rincòn, Surfrider Foundation ha vinto la sua campagna per la tutela della barriera naturale, convincendo le amministrazioni locali a fare di quel luogo la prima riserva marina di Porto Rico.

Per dimostrare quale sia il valore intrinseco di un’onda, Nelsen ha presentato nel 2011 uno studio in cui sono stati calcolati il numero dei surfisti negli Stati Uniti e i soldi che spendono per il privilegio di cavalcare le onde. Le cifre che ne sono venute fuori hanno dimostrato che negli USA ci sono molti surfisti che visitano tantissime spiagge e spendono molto nell’economia locale. Nel mercato italiano, invece, i numeri sono nettamente inferiori: nonostante la crisi economica, il numero dei surfisti è in netta crescita, ma quanti di loro sono davvero disposti a spendere denaro per viaggiare e surfare onde nuove?
Con la crisi dei settori tradizionali come la pesca commerciale e l’edilizia (mercati decisamente invasivi a livello mondiale), il turismo rappresenta una fetta sempre più grossa dell’economia del mare, e questo fa sperare che nel futuro potranno essere prese delle decisioni in favore della conservazione dei nostri litorali e delle nostre onde, che giorno dopo giorno, vedono sempre di più l’avvicinamento di nuovi surfisti.
Certo, la surfonomics rappresenta, a detta degli specialisti, una teoria rischiosa, in quanto ci si potrebbe chiedere, per esempio, cosa bisognerebbe scegliere tra un’onda del valore di 24 milioni di dollari ed un nuovo albergo del valore di 30 milioni di dollari.
Ma il punto di partenza di questi studi, avendo già prodotto dei buoni risultati, ci fa sperare in un futuro con meno cemento e più onde, per tutti!
Foto copertina: Virginia Masiello
Testo: Carlo Morelli
