La particolare e complessa conformazione geografica del mare Mediterraneo fa sì che, su questo mare, il tempo acquisisca caratteristiche tali da non trovare riscontro praticamente in nessuna altra zona del pianeta, al punto tale che non è scorretto parlare di un vero e proprio "tempo mediterraneo".
La maggior parte delle perturbazioni che giungono sul bacino dall'oceano Atlantico non mantengono di solito la loro struttura originale, ma quasi sempre si trasformano, a volte anche profondamente, evolvendo talora con la formazione e lo sviluppo di minimi di pressione in determinate zone preferenziali. Tale processo viene chiamato comunemente "ciclogenesi mediterranea".
Queste peculiarità geografiche del Mediterraneo favoriscono, in presenza di determinate condizioni atmosferiche ed in base anche all'andamento delle temperature superficiali, la nascita di nuove depressioni o il ringiovanimento di minimi barici precedentemente invecchiati in Atlantico.
Per la presenza delle Alpi, dei Pirenei e dei massicci della Sierra Nevada e Centrale, delle Alpi dinariche su Balcani, etc. il Mediterraneo è praticamente un mare chiuso all'afflusso delle correnti fredde provenienti dai quadranti settentrionali, le quali di norma viaggiano in media e bassa troposfera (l'aria fredda è più densa e più "pesante"), livelli ove la forzante orografica riveste notevole importanza.
Questi grandi "spartiacque" naturali presentano però diverse interruzioni come ad esempio la "porta di Gibilterra", la "porta di Carcassonne" e la "valle del Rodano" sul Golfo del Leone e la "porta della Bora" sul Golfo di Trieste, che costituiscono i pertugi attraverso i quali l'aria fredda, sia essa di origine nordatlantica, o nordeuropea, riesce a sfociare con veemenza sul nostro mare.
Nella parte meridionale, invece, il bacino, ad eccezione della catena dell'Atlante su nord Africa, è libero da ostacoli orografici importanti e risulta aperto alle calde correnti subtropicali.
Nella parte meridionale, invece, il bacino, ad eccezione della catena dell'Atlante su nord Africa, è libero da ostacoli orografici importanti e risulta aperto alle calde correnti subtropicali.
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Per questa sua caratteristica di mare chiuso, il Mediterraneo opera in maniera assai significativa una funzione che generalmente è tipica del mare nei confronti della terra ferma, di accumulare, cioè, energia termica, nel periodo estivo o nel semestre più caldo, per conservarla e ridistribuirla all'atmosfera circostante nel semestre freddo.
Le depressioni o perturbazioni, sia che provengano dall'Atlantico con componente da ovest o nord-ovest, sia che giungano dall'Europa settentrionale ed orientale con componente da nord o da est-nord-est, ma anche che affluiscano con flussi da sud-sud-est dall'entroterra africano, a causa della particolare configurazione orografica del Mediterraneo e dell'apporto di energia termica nei bassi strati dell'atmosfera, normalmente non conservano la loro struttura originale.
Infatti molto spesso evolvono, si intensificano, cambiano conformazione o si innescano in modo repentino, cambiano direzione, rendendo pertanto assai ostica la previsione dei loro forcing e possono divenire oltremodo pericolose, in primavera,in inverno e, soprattutto, nell'autunno, apportando fenomeni talora violenti ed improvvisi.
La trasformazione più frequente e nel contempo interessante che subiscono le perturbazioni che giungono sul Mediterraneo consiste nell'innescarsi di ciclogenesi quasi sempre secondarie, vale a dire nella formazione e sviluppo di minimi barici in determinate aree preferenziali, generalmente sottovento alle principali catene montuose.
Insomma, il Mediterraneo è un mare cosiddetto frontogenetico.
Infatti le correnti che arrivano sul nostro bacino, incontrando prima una catena montuosa, tendono a far accumulare aria sopravvento ad essa (con un aumento di pressione) e a produrne un depauperamento sottovento (con una diminuzione di pressione).
La depressione in formazione sottovento alla catena montuosa tende ad approfondirsi per motivi dinamici dovuti alle particolari condizioni che si stabiliscono in quota, per le quali, in una ipotetica colonna di atmosfera, nella parte alta esce orizzontalmente più aria di quanta non ne venga rimpiazzata dal basso.
Inoltre il suo sviluppo è aiutato in modo determinante dall'apporto di energia dai bassi strati dell'atmosfera, dovuta al contrasto termico tra l'aria fredda che giunge sul Mediterraneo in quota e l'aria più calda stazionante sul mare.
A seconda delle aree di formazione, si possono distinguere sul Mediterraneo vari tipi di ciclogenesi, ed in particolare quelli che interessano con maggiori ripercussioni la nostra penisola possono essere riassunti come segue:
1) Isole Baleari,
2) Golfo del Leone,
3) Golfo di Genova,
4) Pianura Padana,
5) Golfo di Trieste,
6) Tirreno centro-meridionale,
7) Ionio-Egeo,
8) Marocco-Algeria
9) Tripolitania e Cirenaica.
Alle ciclogenesi delle Baleari, del Golfo del Leone e del Golfo di Genova è generalmente associato un tipo di tempo da ovest o da nord-ovest, umido e relativamente mite, che si può definire "atlantico", ma in pieno inverno, in caso di aria artica, può divenire molto freddo.
Alle ciclogenesi del Golfo di Trieste, del Tirreno centromeridionale, dello Ionio e dell'Egeo è associato, di solito, un tipo di tempo relativamente freddo, o molto freddo in pieno inverno, che si può definire "continentale".
Alle ciclogenesi del Marocco, dell'Algeria, della Tripolitania e della Cirenaica è associato un tipo di tempo da sud che si può definire "africano". Specialmente in autunno anche le depressioni meridionali tirreniche e joniche possono avere innesco "africano".
Le ciclogenesi della Pianura Padana possono avere innesco sia Atlantico che continentale, ma prevale di solito la prima ipotesi.
Considerando il periodo 1980-2004 e prendendo in esame le ciclogenesi mediterranee con valore minimo di pressione al suolo inferiore a 1000 hPa (per discriminare le depressioni potenzialmente più pericolose) risulta quanto segue (Fonte A.M.):
Nel periodo sono occorse 355 ciclogenesi
Le ciclogenesi associate a sistemi perturbati atlantici sono le più numerose. In particolare quelle del Golfo Ligure, 88 casi, e quelle del Golfo del Leone, 65 casi, insieme rappresentano il 43% di tutte le ciclogenesi dell'intero periodo di 25 anni come evidenziato sotto.
In merito alla distribuzione mensile e stagionale di tali depressioni (sempre periodo 1980-2004) si nota una netta prevalenza invernale e primaverile, con massimi nei mesi di gennaio e dicembre, e con valore autunnale inferiore (grafico sottostante); ma occorre precisare che prendendo in considerazione l'intensità dei fenomeni provocati, la stagione autunnale primeggia su tutte. In poche parole una depressione mediterranea con valori al suolo simili, è in grado di determinare eventi, specie in riferimento alle precipitazioni, più importanti in autunno e prima parte dell'inverno rispetto alle altre stagioni.
La media autunnale supera di poco le 14 ciclogenesi per anno.
Nell'inverno meteorologico (dicembre, gennaio e febbraio) di norma prevalgono le ciclogenesi indotte dal'ingresso di perturbazioni atlantiche. Sono, tuttavia, numerose anche quelle continentali proprie di gennaio e febbraio quando gli anticicloni che sovente si espandono sull'Europa occidentale favoriscono le irruzioni, sui nostri mari, di aria fredda proveniente dai Balcani o dalla Russia.
In primavera (marzo, aprile e maggio) prevalgono le ciclogenesi a causa di sistemi perturbati nordafricani, che convogliano aria calda sull'Italia.
In estate (giugno, luglio ed agosto) le poche depressioni intense sono quasi esclusivamente di tipo atlantico.
In autunno (settembre, ottobre e novembre), infine, prevalgono nettamente ancora le ciclogenesi associate a fronti atlantici, ma con incidenza ancora sensibile di depressioni ad innesco nordafricano.
Quali sono i principali fattori condizionanti?
Sono certamente molteplici, e possono essere riassunti come segue:
Orografia
Temperature superficiali marine
Flussi di calore sensibile
Rilascio di calore latente
Convezione
Grado di baroclinicità
Intense saccature in quota
Fronti e getti di basso livello
EFFETTI OROGRAFICI
Ogni qual volta un fronte freddo, di provenienza atlantica o nordeuropea, si avvicini da N o NW alla catena alpina, subisce una deformazione modellata dal profilo dei rilievi. Ciò accade in quanto l'aria fredda che lo segue, accumulandosi in prevalenza nei bassi strati (l'aria fredda è più densa e più "pesante"), non riesce a scavalcare l'ostacolo orografico ammassandosi sopravvento (in questo caso sul versante nord) provocando un aumento della pressione individuabile nella formazione di un promontorio anticiclonico sul versante estero. Per contro la pressione diminuisce a sud delle Alpi, in particolare su nostre regioni settentrionali.
Il fronte si deforma e si ondula, con due rami freddi principali, il primo dei quali si apre una strada attraverso la Valle del Rodano evolvendo prima verso SE e poi verso E, mentre il secondo sfonda di preferenza attraverso la porta della bora (arco alpino orientale più basso) muovendosi verso SW. I due fronti tendono in seguito a convergere racchiudendo le regioni settentrionali e parte di quelle centrali in un'azione "a tenaglia", supportati dalla formazione di un minimo depressionario sovente su golfo ligure in veloce fuga verso sud-est. Ciò è particolarmente frequente nel semestre freddo ed è schematizzato nelle due figure seguenti.
In estrema sintesi ecco ciò che accade cronologicamente in questi frangenti:
Elementi antecedenti la ciclogenesi:
Presenza di una saccatura in quota (es. piano isobarico di 500 hPa) a N delle Alpi.
Un sistema frontale ai bassi livelli che impatta le Alpi dai quadranti occidentali o settentrionali.
Una forte corrente a getto alle quote più elevate che si porta verso il Mediterraneo settentrionale.
Presenza di una saccatura in quota (es. piano isobarico di 500 hPa) a N delle Alpi.
Un sistema frontale ai bassi livelli che impatta le Alpi dai quadranti occidentali o settentrionali.
Una forte corrente a getto alle quote più elevate che si porta verso il Mediterraneo settentrionale.
L'innesco orografico è parziale sebbene assai importante.
Riportiamo di seguito uno schema semplificato di tale ipotetica situazione:
INNESCO
1) Il fronte freddo viene bloccato e distorto dalla barriera alpina.
2) La pendenza della successiva nuova frontogenesi orografica è di norma più ripida.
3) Formazione sovente di un'anomalia termica positiva di basso livello sottovento alle Alpi.
4) La formazione della depressione sottovento avviene davanti al fronte freddo.
5) La depressione si approfondisce rimanendo inizialmente quasi stazionaria.
6) La saccatura primaria in quota tende ad indebolirsi a N delle Alpi ma si approfondisce a S, talvolta chiudendo in cut-off (goccia fredda).
7) La corrente a getto splitta (si divide) in due rami a N delle Alpi.
1) Il fronte freddo viene bloccato e distorto dalla barriera alpina.
2) La pendenza della successiva nuova frontogenesi orografica è di norma più ripida.
3) Formazione sovente di un'anomalia termica positiva di basso livello sottovento alle Alpi.
4) La formazione della depressione sottovento avviene davanti al fronte freddo.
5) La depressione si approfondisce rimanendo inizialmente quasi stazionaria.
6) La saccatura primaria in quota tende ad indebolirsi a N delle Alpi ma si approfondisce a S, talvolta chiudendo in cut-off (goccia fredda).
7) La corrente a getto splitta (si divide) in due rami a N delle Alpi.
I cicloni invernali, più profondi, tendono a muoversi in genere più rapidamente rispetto a quelli estivi, meno profondi, e nella maggior parte dei casi attraversano il nord Italia seguendo il profilo delle correnti in medioalta troposfera, le quali possono farli evolvere verso ENE fino a portarli su alto Adriatico, oppure verso SE percorrendo il Tirreno ed a volte facendoli giungere fino a Jonio. Quest'ultima caratteristica è più frequente nel periodo invernale, illustrata nell'immagine successiva.
La depressione mediterranea che ha interessato buona parte della nostra penisola nella terza settimana di Novembre 2008 , apportando tempo autunnale e piogge talora molto abbondanti (in particolare in Veneto e Friuli, ove a causa di intensa attività temporalesca si sono avuti accumuli superiori a 100 mm in 24 ore), appartiene a questa tipologia di ciclogenesi, tipiche della stagione fredda, anche se le dinamiche che hanno condotto alla sua formazione non sono state tra le più prorompenti.
TRATTO DA: www.meteo.it
